Nella Lombardia del XII e del XIII secolo gli hospitalia erano soprattutto luoghi di accoglienza per i poveri e i malati, spesso pellegrini, sorti nei pressi di cattedrali e monasteri. Bergamo non fa eccezione: già prima dell’anno Mille abbiamo notizia di xenodochia vicino a diverse chiese: quello di Sant’Alessandro dal 958 e quello di San Cassiano, nei pressi della cattedrale di San Vincenzo, già nel 772.
Altri ne sorgeranno, ad Astino e nei quartieri San Lazzaro e San Leonardo per citarne solo alcuni, fino ad arrivare a un numero così considerevole da spingere la città a programmarne l’unificazione in un’unica grande struttura, così come era già avvenuto a Brescia, Cremona, Milano.
Nel 1449 il maggior Consiglio della Città si esprime in tal senso e affida alla Misericordia Maggiore la gestione di ospedali e consorzi, che vengono così riuniti sotto un unico ente.
Nel 1474 si pone la prima pietra del nuovo ospedale, dedicato alla Vergine e a San Marco, alle spalle del Prato della grande Fiera e ai piedi dei colli che ospitano Bergamo Alta.
Nel 1474 si pone la prima pietra del nuovo ospedale, dedicato alla Vergine e a San Marco, alle spalle del Prato della grande Fiera e ai piedi dei colli che ospitano Bergamo Alta.
E’ un ospedale che vive una forte connotazione religiosa, in cui l’assistenza è innanzitutto una forma di carità. Lo Statuto comincia però a introdurre una prima idea di specializzazione, di mission ospedaliera: accogliere e curare, senza distinzione di censo, chi soffre di malattie acute curabili o chi è stato colpito da eventi traumatici.
All’inizio del '900 questo ospedale comincia ad andare un po’ stretto alla città. Servono spazi almeno doppi, locali orientati diversamente e più distanti fra loro, per consentire a luce e aria di circolare liberamente. I medici chiedono camere meno affollate degli attuali padiglioni, che possono ospitare fino a cento malati contemporaneamente, e più stanze di isolamento, ma anche impianti moderni, rivestimenti più adatti ad essere disinfettati, spazi tecnici e locali adeguati per il personale.
Viene individuata un’area ancora prevalentemente agricola, assolata e riparata dai venti di tramontana, che corrisponde all’attuale quartiere di Santa Lucia, incastonato ai piedi delle colline di Bergamo Alta. L’ing. Giulio Marcovigi studia il progetto del nuovo ospedale e i lavori cominciano nel maggio 1927. A settembre 1930 l’inaugurazione e l’intitolazione alla “Principessa di Savoia” in onore della Principessa del Piemonte, Maria José, presente alla cerimonia con il marito, il futuro Re Umberto II.
Ispirandosi ai moderni principi dell’architettura ospedaliera, Marcovigi dispone attorno a una grande corte centrale i diversi padiglioni; alle spalle del complesso centrale, alcuni padiglioni autonomi. Come ideale collegamento fra la città dei sani e quella dei malati si pone la cosiddetta Casa Rossa, che ha ospitato la Direzione.
Per Bergamo si tratta di una realizzazione grandiosa. Il complesso architettonico, inaugurato tre anni dopo l’autostrada Bergamo-Milano e alla vigilia dei mutamenti urbanistici che regalarono al centro città l’attuale fisionomia, è considerato l’ennesima conferma dell’ottimismo d’inizio secolo, che vede nell’evoluzione tecnologica e nel progresso le armi vincenti per sconfiggere la malattia.
I numeri del resto sono, per l’epoca, impressionanti: trentamila metri quadrati su una superficie di ben 150 mila mq, mille posti letto, servizi e attrezzature all’avanguardia - come il riscaldamento centralizzato a nafta, l’impianto di fornitura di energia elettrica di emergenza, la rete telefonica, le celle frigorifere, gli elevatori e gli impianti di sterilizzazione – l’ospedale di Bergamo era quanto di meglio ci fosse in Italia a quell’epoca.
Pian piano la presenza dell’ospedale attrae nuove edificazioni nella zona, e la struttura diviene punto di riferimento per cure e assistenza. I bergamaschi ben presto stringono un forte legame di affetto e riconoscenza verso il “loro” ospedale. Un legame rimarcato da lasciti e donazioni, che negli anni hanno permesso di dare vita a un pregiatissimo patrimonio storico, artistico e scientifico, che raccoglie anche l’eredità dei nosocomi più antichi.
Negli anni Settanta assistiamo all’unificazione di diverse strutture sotto un’unica direzione, circostanza che spiega la denominazione attuale, Ospedali Riuniti. Prima tocca all’Ospedale Provinciale Pediatrico Ugo Frizzoni, poi all’alloggio per ragazze madri “Casa degli Angeli” di Mozzo, oggi sede dell’Unità di Riabilitazione, e nel 1975 all’Istituto Ortopedico Matteo Rota, fondato nel 1879 come asilo per la cura dei bambini rachitici e per molti anni sede di alcuni ambulatori dell'Ospedale di Bergamo, della Fondazione di Ricerca Ospedale di Bergamo, oltre che dei corsi di laurea attivati con l’Università di Milano Bicocca.
Nel 1985 l’équipe di Lucio Parenzan, tra i padri della moderna cardiochirurgia italiana, esegue il primo trapianto di cuore, il terzo in Italia, aprendo la strada a una delle maggiori eccellenze dell’ospedale di Bergamo. Giuseppe Locatelli, un altro grande maestro, avvia nel 1989 il programma di trapianto di rene e dà lustro alla chirurgia pediatrica di Bergamo.
Negli anni Novanta importanti interventi architettonici vedono nascere il Dipartimento ostetrico-pediatrico, la Nefrologia e il nuovo blocco operatorio. Bergamo sta diventando centro di riferimento per la cura di molte patologie e gli spazi devono adeguarsi alle nuove esigenze poste dalla clinica e dall’assistenza. Nel 1993 questa crescita culmina nel riconoscimento di azienda ospedaliera di rilievo nazionale e di alta specializzazione.
Nel 2000, con l’inaugurazione della palazzina del Dipartimento Cardiovascolare e del CUP, Bergamo pensa già a un nuovo ospedale, previsto nello stesso anno l’accordo di programma tra Stato, Regione, Provincia, Comune e Azienda ospedaliera.
Il nuovo ospedale dedicato a Papa Giovanni XXIII è stato attivato il 15 dicembre 2012, primo giorno di un trasferimento durato sei giorni, in cui sono stati trasportati 368 pazienti (204 pazienti barellati, 62 in carrozzina, 54 deambulanti, 26 trasporti speciali in culla, 20 bambini con gli ovetti, 2 bambini con i seggiolini) in 299 missioni di trasporto.