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Idronefrosi e idroureteronefrosi

Cosa è
Il termine idronefrosi indica la dilatazione delle cavità escretrici renali (pelvi renale e/o calici renali), ossia il sistema collettore dell’urina prodotta dalla filtrazione del sangue nel rene. L’incidenza di questa condizione è di circa 1 ogni 500 nati; risulta più frequente fra i maschi rispetto alle femmina

Cause
La causa di tale condizione si divide, sinteticamente, in due categorie:

  • causa intrinseca: se si associa ad anomalie della parete della giunzione pelvi-ureterale che comportano la mancata o ridotta peristalsi
  • causa estrinseca:  per fattori esterni che conducono a ostruzione (esempio vasi anomali) o secondaria come conseguenza di grave reflusso vescico ureterale

Sintomi
Per i casi che sfuggono alla diagnosi precoce la sintomatologia è variabile e complessa; nelle diverse fasce d’età l’idronefrosi può manifestarsi con febbre, arresto della crescita, vomiti ricorrenti e riconducibili ad episodi di infezione delle vie urinarie. Nel bambino grande talvolta il primo episodio è rappresentato da dolore gravativo tipo colica renale in rapporto ad una brusca dilatazione delle vie escretrici. In alcuni casi è possibile inoltre riconoscere al tatto in sede addominale e/o lombare una massa riconducibile al bacinetto renale idronefrotico. Anemia, ipertensione, ematuria sono più rari. Nei casi gravi può instaurarsii insufficienza renale. 

Diagnosi prenatale
Dopo la ventesima settimana di gestazione, è possibile la visualizzazione completa dell’apparato urinario durante l’ecografia prenatale. L’urina prodotta dal feto rappresenta la fonte principale di liquido amniotico. A questa età un’anomalia ostruttiva è evidenziata dal riscontro di una pelvi ectasica con calici più o meno dilatati. Un diametro antero-posteriore della pelvi sopra i 10 mm dopo la trentesima settimana di gestazione è da considerare un valore limite. Uno spessore parenchimale inferiore a 4 mm è considerato significativo in caso di idronefrosi bilaterale. 

Diagnosi postnatale
In caso di riscontro prenatale di idronefrosi dopo la nascita va attuato un percorso diagnostico che permetta di valutare l’effettiva presenza ed entità della dilatazione, la presenza di dilatazione associate e la situazione “funzionale” renale. 

Gli strumenti diagnostici sono rappresentati da:

  • Ecografia apparato urinario post-natale: l’epoca più adatta è compresa tra 5 e 10 giorni di vita. 
  • Cistouretrografia minzionale: consiste nell’acquisizione di radiogrammi previo posizionamento di catetere vescicale che consente il riempimento della vescica con mezzo di contrasto. Consente di studiare l’anatomia della vescica, evidenziando eventuali anomalie, e la presenza di reflusso vescico ureterale. Rimosso il catetere vescicale, si studia la fase minzionale che permette di escludere problematiche uretrali (stenosi uretrale, valvole dell’uretra posteriore) che possono ostacolare il deflusso di urina, e valutare lo svuotamento vescicale. 
  • Cisto-sonografia: è un’alternativa alla cistografia per lo studio del reflusso vescicoureterale; si esegue mediante controllo ecografico dopo l’iniezione in vescica di un mezzo di contrasto ecoamplificatore che permette di evidenziare eventuali reflussi. 
  • Scintigrafia renale: statica (DMSA) serve a dimostrare e quantificare l’instaurarsi e l’evoluzione del danno renale, definendo la massa corticale renale, le lesioni corticali acute cicatriziali. Dinamica (DTPA, MAG3) meno accurata nella definizione della funzione renale, permette di valutare il deflusso urinario in risposta alla somministrazione di diuretico, discriminando le dilatazioni delle vie urinarie senza ostruzione da quelle con ostruzione. Per eseguire l’esame scintigrafico è necessario attendere le 3/4 settimane di vita, in quanto l’immaturità renale del neonato comporta una ridotta filtrazione glomerulare ed una minore risposta al diuretico. I bambini che devono essere sottoposti all’esame devono essere ben idratati prima dell’esame per garantire abbondante diuresi durante l’esecuzione dell’esame e favorire l’eliminazione del radioisotopo. Potrebbe essere indicato l’introduzione di un catetere vescicale per ridurre l’effetto pressorio vescicale sul sistema escretore alto. La metodica prevede l’iniezione di diuretico (furosemide) dopo venti minuti dalla somministrazione del tracciante. Si acquisiscono immagini per altri 15-20 min. Se trascorso questo periodo non si verifica un adeguato svuotamento delle vie urinarie, si attende la minzione e dopo questa si acquisisce un immagine tardiva finale che viene confrontata con quella preminzionale. In caso di ostruzione la curva appare in fase iniziale in progressiva salita ed in seguito alla somministrazione del diuretico, non si assiste ad una discesa significativa. Nel caso di quadri non ostruttivi la curva appare in progressiva salita fino alla somministrazione del diuretico, che determina una brusca discesa.
  • Risonanza magnetica: può fornire indicazioni più precise sulla sede dell’ostruzione, sul parenchima renale, e la funzione renale. Non utilizza radiazioni ionizzanti. Permette di eseguire uno studio anatomico accurato dell’apparato urinario, ma presenta lo svantaggio di richiedere, per la sua esecuzione, l’anestesia generale per ottenere l’assoluta immobilità del paziente durante l’indagine. Molto utile nei casi di idronefrosi a diagnosi tardiva nel bambino più grande, spesso dovuta alla presenza di un caso polare anomalo alla base dell’ostruzione della giunzione uretero-pelvica.

Terapia
La terapia è chirurgia: viene eseguita una pieloplastica secondo Anderson-Hynes, che prevede l’escissione del tratto patologico della giunzione pielo ureterale. L’approccio può essere laparotomico  (eseguito per via anteriore extraperitoneale, dal fianco o per via lombotomica posteriore), laparoscopico, robotico. In tutti i casi si posiziona abitualmente uno stent ureterale come tutore dell’anastomosi chirurgica tra la pelvi del rene e la vescica, rimosso dopo circa 1-2 mesi dall’intervento chirurgico.