Suddividere i pazienti in tre diversi percorsi di follow-up sulla base del profilo di rischio e assegnare a ciascuno l' opportuno livello di integrazione tra cardiologo ospedaliero e medico di famiglia. È questa la strategia vincente per garantire sicurezza e assistenza adeguata ai pazienti sottoposti a procedura di rivascolarizzazione coronarica con applicazione di stent.
A sostenerlo il documento di consenso elaborato dai cardiologi dell' Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e pubblicato sul numero di novembre della prestigiosa rivista americana "Catheterization and Cardiovascular Interventions", organo ufficiale della Società Americana di Cardiologia Invasiva . È un passo in avanti importante per fare chiarezza in un ambito tanto complesso quanto disomogeneo, dove non è mai esistito fino ad ora un accordo condiviso e sostenuto da studi specifici.
"Secondo il nostro modello i pazienti che devono affrontare il necessario percorso di follow-up dopo una procedura di angioplastica coronarica dovrebbero essere suddivisi in 3 gruppi in base al loro profilo di rischio, deciso dagli specialisti ospedalieri alla dimissione" spiega Roberta Rossini, cardiologa dell' Ospedale Papa Giovanni XXIII e primo autore della pubblicazione. "Il rischio va stabilito sulla base delle condizioni cliniche dei pazienti e in base alla compresenza di altre malattie come il diabete mellito".
Per ciascuno dei tre gruppi l' intervento del cardiologo ospedaliero e del medico di medicina generale viene modulato, compensandosi reciprocamente in base alle effettive necessità del paziente: se il paziente è stabile e a basso rischio, potrebbe essere affidato a lungo termine ai medici di medicina generale, chiamati a sorvegliare il paziente, prestando particolare attenzione all' aderenza alla terapia ed alla correzione dei fattori di rischio. In caso di cambiamento del quadro clinico del paziente o di difficoltà riscontrata nella regolare assunzione dei farmaci prescritti o della correzione dei fattori di rischio, sarà opportuna una rivalutazione specialistica. Se invece il paziente presenta fin dall' inizio un quadro clinico complesso, il coinvolgimento dello specialista ospedaliero deve essere più marcato, costante e frequente.
L'obiettivo finale è ottimizzare e standardizzare per la prima volta il follow-up dei pazienti che sono stati sottoposti ad angioplastica coronarica, con vantaggi per tutti gli attori del sistema: dalla riduzione del numero di visite ed esami diagnostici inappropriati (e, pertanto, inutili), al taglio delle liste di attesa e dei costi, con ottimizzazione delle risorse, per arrivare a una tanto attesa riqualificazione del rapporto tra specialista e medico di medicina generale.
"Questo lavoro vuole arrivare a migliorare l'appropriatezza dei controlli cardiologici specialistici e quindi liberare risorse per i pazienti che effettivamente necessitano di un intervento dello specialista" conclude Roberta Rossini. "La collaborazione tra medico di medicina generale e specialista ospedaliero nella gestione dei pazienti cardiopatici è un obiettivo ambizioso, ma capace di garantire elevati standard di qualità nelle cure e migliorare l' efficienza delle prestazioni di entrambi, specialmente per quelle, come le prestazioni cardiologiche ambulatoriali, che l' OMS identifica come quelle a più rischio di inappropriatezza. Oggi sappiamo con certezza che un eccesso di prestazioni non è necessariamente sinonimo di efficacia del percorso di cura".
Sono infatti diversi gli studi che dimostrano non solo che esiste un' estrema variabilità tra un centro e l' altro sul numero e la tipologia degli esami ambulatoriali eseguiti dopo un' angioplastica coronarica, ma anche che un aumento dei controlli ambulatoriali non si associa a una riduzione della mortalità né ad una riduzione del rischio di infarto. E' inoltre dimostrato che spesso i controlli in ospedale vengono effettuati su pazienti asintomatici e a basso rischio, mentre i pazienti più complessi e con un profilo di rischio più alto spesso non eseguono alcun test, anche quando sarebbe indispensabile.
Il modello bergamasco è destinato ad avere un impatto importante sulla comunità scientifica internazionale: solo in Italia sono 130 mila i pazienti che ogni anno vengono sottoposti ad angioplastica, di cui 26 mila nella sola Lombardia.
"Sono numeri in continuo aumento" prosegue Roberta Rossini, "gli stessi che ci hanno suggerito la necessità di standardizzare la gestione del paziente portatore di stent e di definire degli obiettivi condivisi e ruoli precisi tra specialisti di Cardiologia e medici di medicina generale, il cui ruolo nel follow-up è determinante. È importante che una prestazione inutile lasci spazio ad una appropriata, destinata a chi ne ha davvero bisogno e che potrebbe non trovare possibilità di accesso in tempi rapidi perché il sistema è paralizzato da controlli ripetitivi su pazienti a basso rischio".
Lo studio vede la firma della responsabile dell' Ufficio gestione qualità del Papa Giovanni XXIII, Maria Grazia Cattaneo, e di tre cardiologi dell'Azienda Ospedaliera di Bergamo: oltre a Roberta Rossini, ci sono anche Giuseppe Musumeci, cardiologo interventista della Cardiologia 2 e responsabile della sezione lombarda della Società Italiana di Cardiologia Invasiva (GISE) e Michele Senni, Direttore dell' Unità di Cardiologia 1. Lo studio è stato condiviso e rappresenta quindi un Documento ufficiale delle principali Società Scientifiche Nazionali Cardiologiche ed in particolare l' Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), la Società Italiana di Cardiologia Invasiva (GISE), la Società Italiana di Riabilitazione Cardiologica (GICR) e la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) e vede tra gli autori i Presidenti Nazionali delle rispettive Società Scientifiche.
Il protocollo è in parte già realtà all' Ospedale di Bergamo ed in particolare nel Dipartimento Cardiovascolare diretto da Orazio Valsecchi, dove è stato attivato un indirizzo email PEC dedicato, a cui un gruppo di medici di medicina generale può inviare la scheda dei pazienti ritenuti più critici, che viene valutata dai cardiologi ospedalieri, i quali possono restituire una risposta anche immediata se necessario. Il progetto prevede anche la creazione di un registro per avere importanti dati a disposizione, come il numero e la tipologia dei controlli effettuati, i nuovi ricoveri per eventi coronarici e il relativo trattamento nei due anni successivi, per valutare l' efficacia del protocollo. Per sostenere la prosecuzione del lavoro è possibile diventare "sponsor" del progetto di ricerca, aderendo al bando, scaricabile dal sito web dell' Ospedale Papa Giovanni XXIII nella sezione Bandi/Bandi sponsorizzazione.
Tra i sostenitori del progetto c'è anche il compianto Alessandro Filippi, prematuramente scomparso alla fine di ottobre, che è stato uno dei principali motori di questo lavoro e con fiducia e dedizione l' ha seguito dall' inizio alla fine.
"Alessandro Filippi ha rivestito un ruolo attivo nel coordinamento dello studio, nella sua stesura e nella sua approvazione da parte della Società Italiana di Medicina Generale" ha commentato Michele Senni "La nostra speranza è che la grande ambizione che con Alessandro abbiamo per anni condiviso possa realizzarsi e che tale progetto trovi la sua applicazione nella pratica clinica quotidiana, rappresentando un prezioso aiuto nel mantenere elevati i livelli di appropriatezza delle cure prestate ai pazienti. Spero, infine, che la strada di comunicazione privilegiata tra cardiologi e medici di medicina generale aperta da Alessandro, prosegua in futuro diventando sempre più ampia e rappresentando un modello anche per altre realtà".
L' Ospedale di Bergamo è da tempo in prima fila a livello internazionale nella definizione di una serie di percorsi standardizzati per migliorare la cura del paziente cardiopatico, riscuotendo ampi consensi nella comunità scientifica. La Cardiologia del Papa Giovanni XXIII ha infatti firmato altri due protocolli multidisciplinari che hanno dato risposte a temi complessi e ancora poco chiari della medicina moderna, come la gestione della terapia antiaggregante in caso di intervento chirurgico o la gestione del paziente diabetico colpito da sindrome coronarica acuta.