Arriva l' approvazione anche a livello europeo per il protocollo promosso dall' Ospedale Papa Giovanni XXIII e già condiviso da ben 15 società scientifiche nazionali, che consente di stabilire se e come proseguire la terapia antiaggregante nei pazienti cardiopatici portatori di stent prima e dopo un intervento chirurgico. La ricerca, pubblicata per la prima volta sul numero di luglio di due anni fa del Giornale Italiano di Cardiologia, è stata infatti ripresa anche sullo scorso numero di maggio della rivista Eurointervention, organo ufficiale della Società Europea di Cardiologia Interventistica.
Il documento targato Bergamo fornisce indicazioni sulla gestione della terapia antiaggregante nel caso un paziente portatore di stent coronarico debba sottoporsi ad un qualsiasi intervento chirurgico. Le indicazioni dei medici del Papa Giovanni permettono di stabilire il dosaggio a seconda del tipo di intervento, tenendo conto sia del rischio trombotico che di quello emorragico. Una rivoluzione se si pensa che prima della pubblicazione di questo lavoro non esistevano indicazioni precise su come comportarsi, e a prevalere era generalmente la preoccupazione per un aumentato rischio di sanguinamento, anche per le più banali prestazioni odontoiatriche.
"Oggi invece sappiamo che sospendere i farmaci antiaggreganti prescritti dopo l' inserimento dello stent può essere molto pericoloso, perchè aumenta il rischio di trombosi dello stent" spiega Roberta Rossini, cardiologa del Papa Giovanni XXIII, primo autore del lavoro. "Interrompere la terapia antiaggregante in prospettiva di un intervento chirurgico quindi riduce sì il rischio di emorragie, ma aumenta anche le probabilità che il paziente vada incontro a eventi cardiaci molto gravi e i nostri studi passati l' hanno dimostrato. È un problema di enorme portata se si pensa che ogni anno nel mondo vengono impiantati circa 2 milioni di stent e circa il 4%- 8% di questi pazienti deve sottoporsi a un intervento chirurgico nei successivi 12 mesi. L' obiettivo del nostro lavoro è invece quello di uniformare la gestione della terapia antiaggregante, indirizzando in modo ragionevole e al meglio delle conoscenze attuali le scelte terapeutiche, colmando un vuoto pericoloso per operatori e pazienti".
Il paper porta la firma oltre che di Roberta Rossini, di altri quattro medici dell' Ospedale di Bergamo: Paolo Ravelli, direttore dell' Unità di Gastroenterologia 2, Luca Lorini, direttore del Dipartimento di Anestesia e rianimazione, i cardiologi interventisti Giulio Guagliumi e Giuseppe Musumeci, responsabile anche della sezione lombarda della Società Italiana di Cardiologia Invasiva (GISE), la quale ha promosso il lavoro in collaborazione con l' Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI).
Nata come iniziativa lombarda, l' impatto della ricerca ha rapidamente superato i confini nazionali, fino a raggiungere una portata continentale, tanto che la recente pubblicazione su Eurointervention è stata anche ripresa nell' editoriale della rivista, firmato da Michael Haude, Presidente della Società Europea di Cardiologia Invasiva (EAPCI). Nel suo scritto il cardiologo interventista tedesco evidenzia l' innovativo approccio interdisciplinare messo a punto dai clinici bergamaschi, in grado di fornire delle valide linee guida condivise dal punto di vista chirurgico, anestesiologico e cardiologico, colmando un pesante vuoto, dato dalla mancanza di indicazioni precise su come gestire la terapia antiaggregante prima e dopo un intervento.
Un consenso, quello dimostrato dalla comunità scientifica europea verso il lavoro di Roberta Rossini e colleghi, destinato a non fermarsi: il protocollo infatti guida la classifica degli articoli più scaricati sul sito della rivista e stanno raggiungendo quota 10 mila i download dell' app gratuita che, partendo dalla ricerca, fornisce in modo semplice e intuitivo ai medici indicazioni precise sul dosaggio ottimale della terapia antiaggregante da mantenere nei pazienti cardiopatici portatori di stent nel periodo che precede e segue un intervento.
Il protocollo è stato anche adottato come linea guida aziendale dall' Ospedale Papa Giovanni XXIII e da altre aziende ospedaliere italiane. È inoltre stato segnalato dall' Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari (AGENAS) come esempio di Buona Pratica clinica.
Il protocollo infine è sottoposto a monitoraggio costante grazie all' attivazione di un registro clinico, che coinvolge 25 centri in tutta Italia, coordinati da Roberta Rossini, chiamati a raccogliere i dati dei pazienti trattati secondo le indicazioni del documento. Ad oggi sono già stati arruolati 630 pazienti.